Fabien C. Droscor - Quattro ruote ma un solo passo

Quattro ruote ma un solo passo

 

Mi trovavo su Via A. ALONZO MEDᵃ D’ORO a Follonica, una vecchia dicitura delle targhe toponomastiche per omaggiare sinteticamente, forse troppo, un’esistenza umana di certo più complessa. Il cielo toscano non era più quello estivo, ma le poche nuvole bianche e l’aria che si andava gradualmente scaldando riuscivano comunque a mettermi di buonumore.

Stavo andando alla stazione per prendere il treno che mi avrebbe portato a San Vincenzo mettendo così in pratica una delle mie strategie preferite: ACCAMPATI E VAI, che si traduce con lo scegliere una “base” felice dove alloggiare per poi muoversi nei dintorni con treni locali, corriere, biciclette oppure unicorni, perché no? Era uno di quei finesettimana di ottobre che ero riuscito a tenere totalmente libero dal lavoro grazie al recupero di due riposi maturati in precedenza, un’altra buona occasione per scappare elegantemente da Roma.

Vivendo nella capitale, infatti, i ritmi sono sempre troppo concitati e se sei un essere minimamente senziente che ha bisogno di vedere almeno un pochino più in là della punta del naso, devi darti da fare per evadere ogni volta che puoi. Il paradosso è che Roma è un luogo stupefacente che sa essere davvero affascinante in una maniera che non ti aspetti. Se riesce ancora a sorprendere me, dopo più di quarantacinque anni che calpesto questi sanpietrini, presumo che anche voi non siate totalmente indifferenti nei suoi confronti. Abitanti più o meno rumorosi, visitatori curiosi, gruppi arrivati solo per lavoro oppure turisti occasionali costretti ad una lunga sosta prima di ripartire, in ogni caso lei vi muoverà qualcosa dentro, nel bene o nel male. Magari vi farà arrabbiare, perché vi sareste aspettatati che fosse organizzata decisamente meglio, oppure vi farà emozionare perché prima di vederla non avreste mai pensato che quegli scorci spesso immortalati sulle riviste o sugli schermi dei telefoni potessero essere così seducenti dal vivo. In un modo o nell’altro le cartoline viventi in cui vi imbatterete non potranno andar via dalla vostra testa e questo è una sorta di sentimento che, però, può anche far male…  A livello puramente teorico nella mia città avete davvero tutto a portata di mano, dalla bellezza dell’ingegno umano alla Storia delle storie, dalla cultura stratificata nel tempo al folklore più spiccato, colorato e coinvolgente. Peccato che spesso la mano in questione, soprattutto per chi ci vive in queste antiche mura, sia tremendamente ed irrimediabilmente vincolata. Di solito risulta piuttosto impegnata a tamburellare sulle tastiere dei PC di qualche ufficio compilando schede su schede oppure la si può scorgere più in là, costretta a dare costantemente i resti alla casse dei numerosissimi negozi. Per carità, fino a qui assolutamente nulla di unico né di traumatico. Il problema conseguente si palesa quando, al di là del lavoro, la medesima estremità anatomica si ritrova a digitare nevroticamente sullo schermo dei display, sezione mezzi pubblici, per provare ad indovinare l’arrivo del prossimo autobus, rallentato dall’Eterno traffico della città altrettanto Eterna, che potremmo serenamente chiamare “Godot”. In alternativa la stessa, sempre lei, coadiuvata però da sua sorella, l’altra mano, potrebbe trovarsi nella situazione di dover afferrare e girare in senso orario e poi antiorario quel simpatico cerchio inserito nell’abitacolo a quattro ruote che probabilmente troverà un parcheggio effettivo, vale a dire non appartenente alla categoria “posteggio su marciapiedi o esseri viventi”, solamente fra due mondiali di calcio, credo nell’Anno Domini 2030. Se poi siete così sadici da voler domandare alle cinque o dieci dita protagoniste di occuparsi di questioni burocratiche e sanitarie come: volture delle utenze gas e luce, operazioni postali, cambio di residenza od un infingardo appuntamento dal medico, beh in questo caso le tempistiche non verranno ipotizzate sulla base di ore, ma di settimane. Magari quei poveri vostri arti superiori si affaccenderanno con il massimo impegno, a redigere documenti, firmare dichiarazioni anche in forma digitale, qualora sia possibile, ed annotare appuntamenti su appuntamenti, ma il risultato sarà sempre il tristo medesimo.

La logistica di molte grandi città europee, Roma in maniera davvero particolare, è un massiccio buco nero che ingloba tutto il tempo, destinabile alla tua salute, che avresti fuori dall’orario lavorativo.

A lungo andare questa caratteristica assume l’aspetto di un vero e proprio sicario che è stato assoldato dalla vita stessa per eliminarti. Ti sembra di scorgerlo alla fine del tuo turno, per strada mentre ti segue fin sotto sotto casa o perfino di notte quando non riesci a dormire, magari vicino a letto o seduto su una sedia in cucina. Lo puoi quasi vedere lì, coltello affilato in mano, pronto a rifilarti una bella “zaccagnata”, come si dice dalle mie parti, mentre con dolce ironia ti sussurra: «Mai abbassare la guardia, piuttosto guardati le spalle…», segue ghigno malefico.

Se consideriamo anche, in senso più ampio, che  tutti noi stiamo vivendo in un’epoca dominata dalle malattie più invincibili di un supercattivo dei fumetti americani, intrisa di difficoltà economiche che ti spingono a cercare altri lavori “succhia-tempo” abbinabili all’occupazione principale (ripetizioni scolastiche, taglio e cucito, artigianato improvvisato) e dulcis in fundo profondamente appesantita da sconfortanti notizie provenienti dalla geopolitica contemporanea, ecco allora che l’ansia diventa la vera protagonista e tu sei solamente un suo fastidio che lei, poveretta, si trova a dover gestire.

Poche le lame a cui ricorrere per tagliare questo filo perennemente troppo teso: gli affetti sinceri, sempre che riusciate caparbiamente a trovare tempo ed energie necessari da dedicarvi reciprocamente, libri ed appuntamenti artistici (che rientrano sempre negli affetti sinceri) e i viaggi, grandi o piccoli che siano. Oddio ci sarebbe anche il sesso, ma lascia davvero il tempo che trova, come un fiammifero che riesce certamente ad accendere una sigaretta, ma non scalda l’esistenza, a meno che non troviate il fuoco giusto che si alimenti accanto a voi… e comunque è un’altra storia.

La Toscana così è diventata per me il rifugio in cui poter trovare salvezza, anno dopo anno. Tantissimi piccoli incantevoli centri a misura d’uomo, spostamenti meno frenetici, tempi più dilatati, mare spettacolare, davvero, e quei caratteristici porti che ho sempre considerato accoglienti per loro stessa natura come Giglio Porto, Talamone, Porto Santo Stefano oppure la suggestiva “Passeggiata del Marinaio” nel Porto di San Vincenzo, proprio dove mi stavo dirigendo quel giorno. Colonna sonora di queste frequenti incursioni nelle terre dantesche è il dialetto toscano nelle sue varie declinazioni che sanno tutte essere sempre musicalmente attraenti, tanto nell’irriverenza più aspra quanto nel garbo più gradevole.

Ero dunque nella “base felice” che avevo stabilito, sul versante tirrenico della mia regione salvifica, percorrendo una di quelle strade che portano, per semplificare, dal lungomare alla stazione ferroviaria. Davanti a me, non molto distanti, c’erano due ragazzi che stavano andando nella mia stessa direzione. Chiacchieravano amabilmente l’uno accanto all’altro e procedevano con una lenta andatura dal potere quasi rilassante. Precisamente, quello a destra (lato marciapiede), era in bicicletta, mentre quello a sinistra (lato carreggiata) era in motorino.  Certamente giovanissimi entrambi e, dal mondo in cui si rivolgevano l’un l’altro, si intuiva quanto fossero buoni amici.

«Come fai a dirlo?», domanderete voi.

Sicuramente c’erano vari elementi che si potrebbero evidenziare, ad esempio il fatto che entrambi nominassero altre persone di comune conoscenza, oppure le risate che sentivo giungere ora da uno ora dall’altro o ancora l’aria di familiarità che avevano nelle espressioni del volto parlandosi in maniera spigliata. Attenzione: non in maniera chiassosa, che peraltro sarebbe stata tipica della loro età, o trattenuta, che invece avrebbe tradito una certa distanza, ma soltanto spigliata. I ragazzi erano evidentemente a loro agio. Uno su tutti, però, è stato l’elemento che mi ha confermato la loro amicizia: entrambi erano, naturalmente e semplicemente, attenti a mantenere lo stesso passo.

 

«… S’è fatto tardi e poi ‘l mi’ babbo s’arrabbiato.

-          L’era tardi quanto?.

-          ’N quarto a l’una, toh.

-          Icché sarà mai! Fossero state le tre del mattino, avrei capito. Ci può stare, ma per una festa di compleanno l’è pure troppo presto.

-          Ma tu non sai! Ha ‘ncominciato: “TI SI È DATO UN ORARIO… TUA MADRE POI SI PREOCCUPA… MI ‘MPORTA SEGA SE L’ALTRI RIMANGONO ALLA FESTA FINO ALLE CINQUE DEL MATTINO. FINCHÉ VIVI QUA, FAI COME DICO IO. SAI COSA SAREBBE SUCCESSO S’IO AVESSI FATTO COME TE? ALL’ETÀ TUA POI? TU’ NONNO OSVALDO M’AVREBBE CHIUSO IN CAMERA ‘NA SETTIMANA BONA BONA”.

Ehhh, Jacopo, tu ora ridi ma… guarda che non la finiva più. Che vergogna! Sicuro ha svegliato tutti i vicini, boia!.

-          Scusami se rido, ma l’è troppo forte. M’immagino Cecco lì, in canottiera, sull’uscio di hasa mentre strilla e ti sbatte ‘n faccia le punizioni di tuo nonno, cent’anni fa. Che storia! E Bice? Ch’ha detto?.

-          La mi’ mamma? Senti te, questo l’è proprio ‘l colmo. La mi’ mamma dormiva bella bella, anzi russava! E anche se Cecco sbraitava e sputava pure, pe’ quanto l’era arrabbiato, io riuscivo a sentirla lo stesso perché faceva più rumore che lui. Altro che “TUA MADRE SI PREOCCUPA!”. La mi’ mamma l’era così tranquilla che ronfava come ‘l trattore di tuo cugino Lorenzo, uguale uguale.

-          Che ganza Bice! Oddio tu mi fa’ ridere. Ho le lacrime a l’occhi, ti prego basta. Però che peccato che un c’ero! Magari t’avrei ‘compagnato a hasa in motorino e avrei visto codesta bella scena, ma ieri avevo la partita. Ed ho pure perso, MAREMMA SUDICIA! Però ho segnato. Oh, a proposito… Ora che ci penso… Lapo, ma tu sai che…

Allora, di solito vieni sempre a vedermi alle partite e s’è sempre vinto, o pareggiato, via! Una volta che un c’eri…  ecco che s’è perso e di molto male.

-          C’ho pensato sai? Appena ho saputo del risultato, m’è venuto ‘n mente. Scusami, ma ieri non potevo proprio mancare al compleanno di Fiorenza. Lo sai… Oh, non per lei, m’importava sega. Un so nemmeno hosa s’è regalato, ho messo diec’euro e boh. Ma c’era Isa! Jacopo, tu non t’immagini. Non puoi, fidati. L’era bella, ma bella bella bella. Aveva hapelli raccolti, camicetta un po’ scollata, la gonna a pieghine. No, non si può immaginare Jacopo, non puoi.  Allora io dovevo proprio…

AHI, ‘l ginocchio che male boia!

-          Icchè c’è? Isa l’è forse maga? T’ha fatto la fattura? Oh, tu l’ha chiamata e subito c’ha ‘l dolore.

-          Macché fattura e fattura della fava! Lo vedi che sono proprio un brodo, come dice la mi’ nonna! Du’ pedalate più del solito e la gamba mi dà subito noia.

-          Piano! Pedala piano, Lapo. ‘Spetta, che rallento ancora ‘n pochino. Ecco qui, poco poco gas. Si va piano ché se te ti rompi le gambe quella lì e non ti guarda punto.

Piuttosto… Ti sei avvicinato a lei? Che le hai detto? Hai provato a fare qualchosa?

-          “Avvicinatooooo”? Io son partito ieri sera da hasa con l’idea di darle un bel bacio, di quelli fatti bene. Oh, poi chissà… Da hosa nasce hosa. Pensa che mi son portato pure un “gommino” da metter su. Oh, Jacopooo… sempre meglio essere pronti. Comunque, verso le undici s’era tutti ‘n giardino. A ‘n certo punto l’ho vista, finalmente sola, al tavolo che giocava co’ telefono. Immaginati la scena. Mi fermo a guardarla. Mi verso un po’ di ponce che i genitori di Fiorenza avevano fatto venire da’ Livorno. Bevo tutto ‘nsieme, faccio un bel respiro, poggio ‘l bicchiere e vo diritto da lei.

-          E poi?

-          EEEH… “E poi”, dici te…

“E poi”, “E poi”. E poi è arrivata quella rompicojoni di Alessia che l’ha presa per mano e l’ha trascinata via un so dove… e non l’ho più vista tutta sera. Poi s’era fatto tardi e son andatho via, MAREMMA MAIALA! Nemmeno son riuscito ad incrociare i suoi begl’occhi verdi co’ que’ puntini di marroncino, adorabili.

Oooooh, icchè c’è da ridere?

-          Scusa, scusami Lapo. Solo che… Ti ricordi? Tu sempre, ma sempre pe’ di’ sempre, ci dicevi: “Io che ne so se una c’ha ‘l covid o no, magari non ha sintomi, ma l’ha dentro. Oh, io ve lo dico, finché non sarà finita codesta storia dei contagi, non bacerò mai più nessuna, co’ lingua o senza. Testimoni tutti, eh, MAI PIÚ! Quando poi quello sarà battuto definitivamente come, come… Boh, chessò io, come… come la tubercholosi, allora me le bacerò tutte quante, ecco”.

E ora? Guardati, che muso lungo che te c’hai, toh.

-          Ho capito, ma poi ho conosciuto Isa. Oh, dico “Isabella”, ma l’hai vista? No guarda, io me la sposo.

Che ridiiii???!!!.

-          Va bene. Va bene, non rido. Senti, “Signor Maritino devoto”, ma ci vieni a vedermi agli allenamenti mercoledì? Dai che poi si va a prendere la birrettina a via Dante.

-          Certo! Mi dovrò pur far perdonare per la sconfitta del Follonica. In fondo se avete perso è colpa mia che un so venuto a vedervi.

-          Simpatico sei, proprio simpatico… Grullo! No ma tu fa’ ride. Ehhh se fa’ ride!

-          Oh, ma lo senti codesto rumore strano? Ormai so’ cinque minuti boni. Non ti dà noia?

-          Lo so, lo so. L’è questo motorino della fava. Se do poco gas e lui dà noia. Lascialo parlare. Questo rompe cojoni più della mi’ sorella. Invece dimmi ‘n po’, ma poi hai saputo qualcosa di Cosimo? Son già due anni boni boni che l’hanno licenziato. È riuscito poi a trovar lavoro?

-          Ah, bravo! Ci pensavo proprio ieri l’altro. Lo si va a trovare?

-          Bene, quando?

-          Ora, no?

-          Per me va bene. Però allora si torna ‘ndietro e si gira alla piazzetta, dai sbrighiamoci ché si va tutt’a ritroso.

-          Ma no. Lo vedi che sei davvero tutto grullo! C’è ‘l sentierinooooo, gua’! Inizia lì, dietro la stazione. Guarda: prima va giù e poi gira dietro. Dalla panchina a risalire, ridiventa asfaltatho. Così, cinque minuti e si arriva da Cosimo.

-          Guarda te, gua’! Son nato qui e un lo sapevo. Tu sarai pure un brodo, ma io so’ ‘n bischero.

Ehhh continua a ridere te, bravo bravo.

-          Via Jacopo, guarda che l’è normale. Te qui ci passi sempre, ma di chorsa co ‘l motorino e quindi l’imbocco un lo vedi, perché l’è coperto dal palmizio basso. Io invece, passandoci spesso a piedi o con la bici, ci fo caso. L’ho scoperto l’anno scorso fra le foglie.

-          E bravo Lapo! Oh, l’è sicura codesta via? Non è che ci ritroviamo in mezzo al fango?

-          No no, l’è pericolosissima. Anzi, sicuramente faremo la fine di Alice che ha ‘mboccato il sentiero pe’ trovar ‘l bianconiglio e ‘nvece c’era la regina di cuori che l’ha fatto la festa l’ha fatto…

-          Oh Lapoooo. E basta! E ti credo che Isabella e non ti guarda! A forza di dir boiate te, co’ gommini, puoi fa’ solo che gavettoni.

-          …»

 

I due ragazzi hanno imboccato poi il loro sentiero mentre io sono entrato in stazione per timbrare il mio biglietto. Aspettavo un treno per rubare un’altra boccata di vitalità ad un altro porto sicuro. Loro due invece non aspettavano nulla. Stavano proseguendo il cammino della loro vita senza preoccupazioni, come giustamente la loro età impone e senza farsi problemi d’urgenza. Andavano allo stesso passo perché volevano che fosse così. Non c’era bisogno che uno pedalasse più forte per poter reggere l’andamento con l’altro. Viceversa, se il motorino risentiva evidentemente della lentezza nel percorso, così esagerata da far “imprecare” il motore ad alta voce, questo non costituiva nella maniera più assoluta una condizione della massima gravità per chi lo guidava.

Lo stare insieme ed il condividere racconti, riflessioni e pensieri aveva per entrambi ed in maniera innata un’importanza maggiore del tempo, della convenienza o di qualunque altra più logica alternativa.

Se ci fermiamo a riflettere su questo tipo di spunti che a volte il quotidiano vivere improvvisamente ci regala, possiamo forse azzardarci a considerare che gran parte degli scontri che ci affliggono a più livelli, dall’incomprensione con il vicino di casa ai conflitti fra Nazioni, spesso nasce proprio dalla mancata volontà di mantenere, anche solo momentaneamente, lo stesso passo.

Intendiamoci, non è inusuale il fatto che tutti abbiamo un modo differente d’incedere ed anzi è anche questo il bello di tutti noi. È possibile tuttavia che, in alcuni momenti chiave del nostro percorso, sia più sano (ed in certi casi più proficuo) cercare di mantenere la medesima andatura. C’è chi cammina velocemente e chi si sposta in maniera meno rapida. Ancora possiamo incontrare chi procede con il bastone da passeggio, chi avanza su di una sedia a rotelle e potremmo anche imbatterci in coloro che non hanno possibilità di movimento.

Già mi sembra di sentire qualcosa al riguardo:

«La bicicletta… Il motorino… Lapo… Jacopo… La stazione in Toscana… Il vicino di casa… Gli scontri fra Nazioni… i passi…

Ma che relazione ci vuoi vedere? Due amici vogliono chiacchierare. Quello in motorino rallenta così può parlare con quello in bici. Poi se ne andrà. Tutto qui».

Forse è solamente così, ma non necessariamente…

Credo che ci possa anche essere della letteratura nel quadro di questi due ragazzi intenti a parlare fra loro, senza nemmeno forzare la mano. Basterebbe solamente osservare non solo con gli occhi, ma con la mente, ed abbandonarsi, liberi, ai collegamenti che naturalmente vengono fuori.

Una Nazione non può forse aspettare che un altro Stato sia in condizione di varare delle strategie comuni di crescita prima affrettarsi a giudicarlo inadeguato per qualunque tipo di accordo?

Un governo sano avrebbe così tante difficoltà ad attendere che una nuova impresa del suo territorio, magari nata con difficoltà, arrivi finalmente al momento di onorare i propri impegni con il fisco prima di determinarne irrimediabilmente la chiusura?

Allo stesso modo, in una qualunque favorevole situazione dell’umano sviluppo che denoti una certa sicurezza sociale ed economica, non si potrebbe provare ad accelerare moderatamente la propria andatura in modo tale che da quella piccola spinta autoimposta possa nascere un’opportunità che abbia il magico potere dell’inclusione? Un’altra realtà nazionale con cui costruire, una minoranza come risorsa con cui cooperare, una piccola società da valorizzare o anche semplicemente un nuovo posto di lavoro per un’altra sola persona. Chissà cosa potrebbe comportare quel gesto di far salire a bordo qualcuno in modo tale da condividere la stessa velocità. Nessuno conosce effettivamente l’entità potenziale di queste piccole e grandi sinergie, ma se i risultati si dimostrassero infine, di gran lunga, superiori a quel cammino che non aveva previsto alcun tipo di attese?

Trainare, essere da esempio o fungere da locomotiva sono sinonimi di uno stile di vita in grado di spronare e stimolare. La corsa fine a se stessa, invece, o peggio il muoversi rapidamente con il fine di mostrare che chi non ce la fa non può che restare indietro, è ben altra condizione che alla lunga potrebbe addirittura dimostrarsi nociva per tutti. A volte, infatti, la mancanza di una visione non inclusiva ha la stessa radice dell’incapacità di prevedere gli ostacoli. In una parola il rischio è l’assenza di lungimiranza.

Mantenere un passo uguale, magari in periodi limitati, può invece aiutare entrambi i soggetti. A volte, venendosi incontro nelle direzioni da perseguire, le parti in questione scoprono insieme ulteriori vie, nuove strade, nuovi sentieri alternativi da percorrere che magari nel tempo potrebbero risultare più vantaggiosi rispetto ad un percorso in solitaria.

Vedremo mai dunque nel prossimo futuro dei momenti storici fondamentali in cui Stati Uniti, Unione Europea ed Estremo Oriente, in vista di un fine più importante, smetteranno di fare a gara per chi riesce ad allungare di più il passo? Est ed Ovest del mondo non potranno mai concordare il medesimo cammino per un benessere più ampio delle popolazioni? Minoranze nazionali e Stati sovrani riusciranno mai a regolare la bicicletta ed il motorino per salvaguardare vite?

E che dire dell’umano progredire e del Pianeta? Davvero non ci sarà mai più modo di proseguire insieme? Abbiamo dunque tutti quanti un numero limitato di passi, peraltro ormai tutti in scadenza?

Jacopo e Lapo, però, nella piccola ma graziosissima Follonica, riuscivano a procedere l’uno accanto all’altro malgrado si trovassero su mezzi dalle prestazioni molto differenti. Erano in grado di farlo, quasi senza accorgersene perché per loro era naturale, spontaneo, quasi scontato.

«È ovvio», «Ed è anche troppo facile», direte voi. «Loro due sono amici e per di più vivono in una piccola città».

Giusto, perché è fin troppo evidente quanto nelle realtà sociali dalle dimensioni più ridotte la gestione dei rapporti umani sia decisamente più semplice. Con molta probabilità, infatti, è soprattutto questa la ragione delle mie frequenti fughe da Roma verso mete toscane.

Quelle quattro ruote ad un unico passo mi hanno colpito e mi hanno spinto sicuramente a riflettere, ma poi io come mi comporto nella realtà dei fatti?

Io per primo prediligo la solitudine positiva a dispetto dello stress e del caos cercando di raggiungere proprio quel tipo di ambienti perché mi sembrano più sereni. Di base quindi, con il mio comportamento, non sto aspettando nessuno, anzi mi muovo per andare a star meglio senza dover badare ad alcun altro tempo d’attesa che non sia il mio. Sono perfettamente e, allo stesso tempo, maledettamente in linea con le grandi tendenze globali.

Però…

Però è altrettanto vero che amo quei piccoli centri dove vado perché li trovo molto amichevoli. Nel tempo sono riuscito a coltivare qualche contatto che riesco a vivere con serenità, ma quegli stessi legami, calati nella mia realtà romana, probabilmente non avrebbero la stessa dimensione. La libraia di Follonica, le sorelle dell’albergo a Talamone, il pescatore di Porto Santo Stefano, il bottegaio di Orbetello, l’addetta ai tavoli nel ristorante a San Vincenzo, i ragazzi del chiosco all’Arenella sull’Isola del Giglio, sono tutte realtà umane con cui esistono delle connessioni perché da entrambe le parti ci si è voluto dedicare del tempo. Lo si è potuto fare perché le caratteristiche del posto lo hanno permesso, questo è certo, ma rimane il fatto che sono stati instaurati dei rapporti solamente perché le persone del posto hanno rallentato, magari per poco o pochissimo tempo, le loro attività per parlare con me.  

Ecco allora che se mi fermo a riflettere ulteriormente includendo maggiormente me stesso nei ragionamenti condivisi con voi, appare improvvisamente un quadro forse più chiaro o quantomeno più completo.

 

Voi…

Io…

Noi…

 

Come si fa a sapere se Stati, gruppi, società o banalmente se due persone dalle andature differenti potrebbero felicemente corrispondersi se poi, in quell’unica fortuita occasione per un incontro, si è stati troppo indolenti per raggiungersi o, al contrario, troppo veloci anche solo per vedersi davvero?

Mantenere la stessa andatura per un po’, allineare i tempi, o almeno provarci, potrebbe produrre qualcosa di positivo per tutti o, male che vada, potrebbe forse provocare un rallentamento nell’incedere, ma di certo non avrà il significato di retrocedere.

 

Se nessuno aspetta nessuno e se nessuno raggiunge nessuno, allora…

i passi che stiamo facendo…

tutti i passi che stiamo facendo…

non sono dei passi in avanti, non lo saranno…

 

«Oh, hai visto che alla fine Cosimo l’ha trovato il lavoro. Meno male, va! Comunque codesto viottolo che tu m’ha ‘nsegnato l’è troppo ganzo. Sai la benzina che ho buttato in tutto ‘sto tempo che un lo conoscevo. Siamo già qui, senza tutti i giri che fo di solito. E poi senti che profumo questi fiorellini qui, quasi quasi ne porto uno alla tipa del forno, la biondina. Quella pe’ fiori e ci va matta.

-          Io veramente sento solo la puzza di benzina del rottame che guidi. O grullooo! E quand’è che butti codesto motorino? Te, con tutto ‘sto gas, i fiorellini e li fai secchi. Altro che profumo!

-          Stai buonino, ché sto mettendo i soldini da parte. Se tutto va bene prima dell’estate prossima mi prendo uno scooterone elettrico, e via.

Oh, guarda Lapo! Guarda ‘l camioncino co’ l’insegna là in fondo. Là, dopo la panchina! Togo! Ma tu lo sapevi che la sera su ‘l sentierino c’è un chiosco che vende i tortelli dolci di Pitigliano?

-          No, di solito non ci vengo mai a quest’ora. La mi’ sorella piccina li adora, sai com’è contenta se li porto a hasa. Guarda! C’hanno pure le torte grandi! Ma dove le metto sulla bici? Se le pijo poi non riesco nemmeno a pedalare. Poi oggi! Co’ ‘sto ginocchio che mi dà noia… Guarda qui, s’è pure gonfiato! Vabbeh dai, io vo a hasa.

-          Dov’ai te? Lo vedi che il grullo sei te! E che ci sto a fare io? Guarda qui che baule grande che c’ha ‘l mi mezzo. Via! Le si carica sul motorino e poi le si porta da te. Oh, si va piano. E che fretta c’è? Stai buonino co’ quel ginocchio.

Dai che ora tocca a noi.

Signora bellaaa! Buonasera e ce le dà due torte ed un pohino di tortelli dolci…?».

 

Quello che è successo in seguito ha un orario ben preciso. Erano le undici e trentatré del mattino di quel giorno d’ottobre, ma mi sembra che stia accadendo tutto ora, di nuovo.

Sceso dal treno alla stazione di San Vincenzo mi sono ritrovato, quasi immediatamente, sulla via principale dal bellissimo paesino di mare. Il quadretto dei due ragazzi o, meglio, delle quattro ruote ad un passo solo, visto poco prima, apparentemente era già nel passato.

Ora c’è un presente fatto dei miei continui sorrisi di contentezza mentre passeggio lungo Corso Vittorio Emanuele II scattando fotografie, comprando libri delle edizioni locali e gustando pescetti freschi accompagnati da vino bianco, sempre del luogo. Il sole sembra nuovamente tornato agli sfarzi estivi, anche se il vento proveniente dal mare mitiga notevolmente l’insolita calura d’ottobre.

Mentre sto per scendere le scale verso quel porto dalle dimensioni sorprendentemente grandi rispetto al centro abitato, vedo distrattamente un punto-informazioni deputato ai collegamenti con le isole più vicine. Tra i nomi delle cinque località marittime che fanno bella mostra di sé sulla parte alta del chiosco, mi accorgo che la Corsica e la piccola Capraia sono le uniche mete che ancora non ho avuto il piacere di visitare. Per quanto riguarda l’isola toscana, in realtà, il piano è stato già stabilito da tempo: nel corso del prossimo viaggio a Livorno, dopo un’imprescindibile visita presso la Fortezza Vecchia, la Terrazza Mascagni e la Fortezza Nuova andrò a fare un felice giro al porto labronico per poi imbarcarmi sulla nave diretta a Capraia.

La Corsica, che racchiude tante delle passioni culturali che ho coltivato a partire già dai miei primi studi e che stimola il mio crescente amore per la condizione insulare, rappresenta invece quel sogno proibito a cui non riesco mai a dare seguito. Troppo lontana per le mie brevi fughe da Roma e troppo carica di aspettative per relegarla a semplice meta delle caotiche ferie estive, quando tutto il mondo affolla il suo seducente territorio soggiornandovi.

Ad ogni nuovo cambio del calendario mi ritrovo così a battezzare l’anno entrante come il momento buono per assecondare finalmente il canto di quell’affascinante Sirena. Poi però l’andamento della vita, che sembra concedere un certo un riguardo per mio equilibrio quasi esclusivamente nei ritagli di tempo, m’impone di fatto una nuova attesa che io colpevolmente mi scopro ad accettare.

Stavolta però ho guadagnato un improvviso weekend libero e mi trovo su uno scalo inaspettatamente favorevole per il mio sogno proibito. Tra me e “L’Île de beauté” c’è solamente il punto-info ed il mare aperto.

«Buongiorno, sono attivi i collegamenti con la Corsica? Anche in ottobre? Potrei avere un biglietto per…».

Non faccio in tempo a terminare la frase perché vedo l’addetta alla clientela che si affretta a chiudere a chiave la struttura.

«Mi scusi, ma devo correre giù al porto. C’è stato un incidente in mare, vicino al faro verde. Il mio collega che stava venendo al lavoro era su una delle due barche che si sono scontrate. Devo andare a vedere assolutamente come sta. Fra pochi minuti arriva una collega a sostituirmi, attenda qui cortesemente.

-          Oddio, spero stia bene. Mi dispiace, di solito è raro che succeda in mare perché, a quanto so, le manovre si effettuano parecchio tempo prima, non come sulle strade…».

La signorina sistemandosi il giacchetto leggero appena indossato e prendendo al volo la borsa, si avvia rapida verso le scale poi si gira senza fermarsi e con voce crescente man mano che si allontana mi dice, anzi mi urla:

«Le barche erano abbastanza vicine, in parallelo, non venivano da direzioni opposte, ma una era a motore e l’altra a vela! NON SO CHI STAVA ANDANDO PIÚ VELOCE Al MOMENTO DI VIRARE PER ENTRARE NEL PORTO, MA SE NESSUNO REGOLA LA VELOCITÀ L’INCIDENTE SUCCEDE OVUNQUE.

-          …».

Lentamente mi avvio verso il porto. Cammino a gran velocità lungo la “Passeggiata del Marinaio” che normalmente avrei percorso lentamente scattando foto e fermandomi a godere del panorama. Giunto al faro vedo invece tutt’altro tipo di panorama: una delle barche che galleggia, ma su un fianco con lo scafo ben in evidenza. L’altra imbarcazione invece sta evidentemente imbarcando acqua. I due piccoli equipaggi, spero al completo, sono già in salvo su una piccola nave dell’autorità portuale. Ognuno tiene la propria testa fra le mani.

Vedo tutto questo e mi siedo su uno scoglio. Mi sistemo la bandana sulla testa, guardo le rocce bonariamente schiaffeggiate dal mare e mi accorgo che il quadretto delle quattro ruote ad un solo passo di Follonica non è più nel mio recente passato, ma è decisamente nel mio presente e penso che forse dovrebbe essere nel presente di tutti. Poi alzo lo sguardo, vedo il mare e mi rialzo.

 

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